Accuse infondate: quando la suocera crede di sapere la verità.
“Sei una poco di buono!”, mi ha urlato mia suocera, Carla, con rabbia negli occhi. Prima che potesse continuare con i suoi insulti, mio marito Marco l’ha fermata con fermezza.
“Mamma! Non permetterti di parlare così a mia moglie. Chiedile subito scusa!”, ha tuonato Marco, visibilmente scosso dalla reazione della madre.
Carla e mio suocero, Gianni, erano venuti a conoscere il nostro piccolo per la prima volta dopo il parto. In ospedale si erano comportati bene, anche se avevamo chiesto un po’ di tempo per noi, per goderci i primi momenti in famiglia. Dopo un mese dalla nascita, avevamo deciso di invitarli a casa. Nonostante l’agitazione, volevamo mostrare loro quanto fosse bello il nostro bambino, Alessandro.
Tuttavia, da subito, notai qualcosa di strano nell’atteggiamento di Carla. Sembrava trattenere qualcosa, un giudizio, un pensiero che non vedeva l’ora di esplodere.
Un dubbio assurdo e la richiesta scioccante
“Marco è di gruppo sanguigno B positivo? Non lo sapevo…” disse Carla, guardando prima suo figlio e poi me, come a cercare conferme dove non ce n’erano. Non capivo dove volesse arrivare, ma il suo tono non prometteva nulla di buono.
Poi, improvvisamente, si è alzata e ha urlato: “Lo sapevo! Questo bambino non è di Marco. Non gli somiglia, ha un naso diverso, una carnagione diversa! Barbara ha tradito mio figlio!”
Sono rimasta senza parole. L’assurdità di quelle parole mi aveva paralizzata. “Scusa? Ma come ti permetti?” ho risposto, con la voce incrinata dalla rabbia e dall’umiliazione.
Marco mi ha subito difesa: “Mamma, smettila! Conosco mia moglie e so benissimo che questo bambino è mio figlio. Basta con queste assurdità!”
Ma Carla non si calmava, era sempre più agitata. A quel punto, Gianni ha cercato di riportare tutti alla calma proponendo: “Facciamo un test del DNA, e la verità verrà fuori.”
Accuse infondate: L’umiliazione pubblica e la scelta inevitabile
Inizialmente ero contraria. Non volevo sottoporre mio figlio a qualcosa di simile, tutto per una paranoia infondata. Ma Carla continuava a raccontare la sua versione dei fatti a tutta la famiglia. Le voci si erano sparse, e cominciammo a ricevere messaggi spiacevoli, anche da persone che non conoscevamo bene.
Ogni notifica sul telefono era una pugnalata. Marco soffriva e io non sopportavo più quella situazione. Così, ho preso una decisione: “Facciamo questo test, una volta per tutte.”
Abbiamo eseguito l’esame in un centro specializzato. Marco ha accompagnato il piccolo, mentre io rimanevo a casa. Dopo alcuni giorni, il verdetto era chiaro: Marco era il padre biologico di Alessandro.
Abbiamo deciso di affrontare Carla e Gianni con i risultati in mano. Ma, come se non bastasse, lei ha osato mettere in dubbio anche il test: “Avete falsificato tutto! Non mi fido.”
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