Quando la mia matrigna è diventata la mia seconda madre dopo la scomparsa di papà

Quando la mia matrigna
Emozioni

Quando la mia matrigna è diventata la mia seconda madre dopo la scomparsa di papà.

Un’infanzia felice spezzata dal dolore

Un tempo avevo tutto ciò che un bambino potesse desiderare: una famiglia unita, amore e una casa piena di serenità. Vivevamo a Modena, in un appartamento piccolo ma sempre riscaldato dalle risate mie, di mia madre Teresa e di mio padre Marco. I miei primi anni furono felici e spensierati, finché la malattia non bussò alla nostra porta.

Avevo appena otto anni quando mia madre cominciò a stare male. Le visite in ospedale si fecero frequenti, e nonostante le nostre speranze, una mattina mio padre tornò a casa con lo sguardo perso nel vuoto. Ricordo ancora le sue parole: «Teresa non c’è più». Da quel momento, anche lui cambiò. Non era più l’uomo forte e sorridente di un tempo. Al posto della cena trovavo bottiglie di birra sparse ovunque, e la nostra casa diventò un luogo silenzioso e disordinato.

Iniziò così un periodo difficile. Andavo a scuola con i vestiti sporchi, i compagni mi evitavano e gli insegnanti mi guardavano con pietà. Non capivo perché la mia vita fosse cambiata così in fretta.

Quando la mia matrigna è diventata la mia seconda madre: Il rischio dell’orfanotrofio e l’arrivo della “zia”

I vicini, preoccupati, chiamarono i servizi sociali. Un giorno si presentarono due assistenti sociali che ispezionarono l’appartamento. La cucina era un disastro e l’odore nell’aria era pungente. Dopo un’attenta valutazione, ci dissero chiaramente: «Se entro un mese nulla cambierà, il bambino verrà affidato a una struttura».

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Quelle parole fecero scattare qualcosa in mio padre. Per qualche settimana sembrò ritrovare una parvenza di equilibrio. Pulì casa, fece la spesa, smise di bere. E per un momento, davvero, pensai che tutto sarebbe tornato alla normalità.

Fu in quel periodo che conobbi Laura, una donna che mio padre mi presentò come “zia”, anche se non era nostra parente. Laura viveva a Parma con suo figlio Davide, di due anni più giovane di me. All’inizio non mi fidavo. Come potevo affezionarmi a qualcuno se avevo appena perso mia madre?

Ma Laura era diversa. Dolce, premurosa, mai invadente. Cominciammo a farle visita sempre più spesso, e io iniziai a sentirmi a mio agio. Una sera dissi a mio padre: «Mi piace stare con la zia Laura». Qualche settimana dopo, ci trasferimmo da lei. Affittammo il nostro vecchio appartamento e iniziammo una nuova vita.

Una nuova tragedia e l’ingresso nell’orfanotrofio

Quando cominciai a sentirmi di nuovo felice, accadde qualcosa che mi gettò ancora più nel buio. Mio padre morì improvvisamente a causa di un infarto, mentre era al lavoro. Avevo appena dieci anni. Ero rimasto solo.

Dopo pochi giorni, i servizi sociali tornarono. Con freddezza, dissero a Laura che non essendo un parente diretto, non poteva tenermi con sé. In breve tempo mi portarono via e mi condussero in un orfanotrofio a Bologna. Ricordo il silenzio in auto, il rumore delle ruote sull’asfalto e il portachiavi di papà che stringevo tra le mani: era l’unico ricordo che avevo di lui.

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L’orfanotrofio fu un’esperienza dura. Mi chiusi in me stesso, parlavo poco, mi fidavo di nessuno. Ma una presenza non mi abbandonò mai: Laura.

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