Non ho adottato un bambino: ho accolto una nonna dimenticata

Non ho adottato un bambino
Storie di vita

Non ho adottato un bambino: ho accolto una nonna dimenticata, e rifarei tutto.

Quando si parla di adozione, la mente corre subito a immagini commoventi: un bambino che trova una casa, un futuro migliore, una famiglia pronta ad amarlo. È un gesto nobile, apprezzato da tutti. Ma cosa accadrebbe se vi dicessi di aver fatto qualcosa di simile, ma con un’anziana? Non sono andata in un orfanotrofio. Sono entrata in una casa di riposo. E ho portato a casa una nonna che non era mia. Una donna anziana, sola, dimenticata da tutti. La sua storia non era scritta sui giornali, ma nel suo sguardo c’era un mondo intero.

La reazione delle persone? Incredulità. Alcuni scuotevano la testa, altri mi guardavano come fossi impazzita. “Hai già una vita complicata, due figlie piccole, e ti prendi cura di un’anziana sconosciuta?” mi dicevano. Persino le amiche più care hanno mostrato perplessità. La vicina con cui prendevo il caffè ogni mattina mi lanciava sguardi interrogativi. Ma io ero sicura di una cosa: avevo fatto la scelta giusta.


Non ho adottato un bambino: La perdita di mia madre e il vuoto incolmabile

Fino a otto mesi fa, la nostra casa era piena di vita. Vivevamo in quattro: io, le mie due figlie e mia madre. Era lei il cuore pulsante della famiglia, sempre pronta a dare una mano, a raccontare storie, a coccolare le sue nipotine. Poi, all’improvviso, se n’è andata. Una malattia l’ha portata via in poco tempo, lasciando un vuoto immenso. Le mattine non erano più le stesse, il suo posto sul divano rimaneva vuoto, e il silenzio in cucina era quasi insopportabile.

Eravamo rimaste in tre, ma ci sentivamo come se fossimo solo frammenti di quello che eravamo prima. Il dolore era diventato parte delle nostre giornate. E anche se col passare del tempo l’intensità si era attenuata, quella mancanza non se n’era mai andata davvero. Finché, una mattina, mentre preparavo la colazione, ho avuto una rivelazione: avevamo ancora tanto amore da dare. Avevamo una casa accogliente, braccia pronte ad abbracciare e cuori aperti. E là fuori c’era qualcuno che aveva bisogno proprio di questo.

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L’incontro con la signora Teresa e il desiderio di ridarle una casa

Conoscevo la signora Teresa da quando ero bambina. Era la madre del mio vecchio compagno di scuola, Marco. Una donna dolce e sempre sorridente, con le mani sporche di farina e la cucina sempre profumata di dolci appena sfornati. Ricordo ancora le sue risate che riempivano la casa. Ma la vita di Marco aveva preso una brutta piega: a trent’anni aveva iniziato a bere, aveva venduto tutto ciò che possedevano e poi era sparito. E così, Teresa era finita in una casa di riposo.

Ogni tanto, io e le bambine andavamo a trovarla. Le portavamo biscotti fatti in casa, un po’ di frutta, qualcosa da leggere. Lei ci accoglieva sempre con un sorriso, ma nei suoi occhi si leggeva una solitudine silenziosa, profonda. Un giorno, mentre la guardavo mangiare lentamente un biscotto, mi sono detta: “Non posso lasciarla qui.” Ne ho parlato con le mie figlie. La più grande ha annuito convinta. E la piccola, di appena quattro anni, ha esclamato con entusiasmo: “Avremo di nuovo una nonna!”

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